N. 32
24/06/2013
Nel 1995
la sentenza Bosman riconobbe che alla scadenza del contratto un giocatore ha il
diritto a trasferirsi, a parametro zero, in un’altra società. Prese il nome da
un giocatore, Bosman appunto, il cui cartellino era di proprietà della squadra
di calcio Royal Football club di Liegi. Alla scadenza del contratto, con un
evidente abuso, la società gli aveva ridotto lo stipendio e al contempo negato
la possibilità di trasferirsi al Dunkerque perché ritenne inadeguata la
cifra offerta per il suo acquisto dalla
squadra francese.
Con
quella sentenza in pratica si passò da un situazione in cui le società di
calcio detentrici del cartellino avevano un fortissimo potere al suo esatto
contrario, alla possibilità cioè del giocatore stesso di approfittare lui della
situazione. Un giocatore di calcio, che certo non può considerarsi un normale
lavoratore, considerando che nella sua pur breve carriera può arrivare a
guadagnare in un anno anche migliaia di volte quello che guadagnano i comuni
mortali, può arrivare a fare enormi danni alla società che ne detiene il
cartellino. A poco tempo dalla scadenza contrattuale può scientemente rifiutare
un rinnovo del contratto e/o una vendita ad altra società, perché magari ha già raggiunto un accordo
sottobanco con una società terza che sarà disposta a pagarlo con un contratto
maggiorato considerando che non dovrà sborsare nulla per il suo acquisto.
Da una
situazione in cui i giocatori non avevano diritto alla parola al suo esatto
contrario. Sarebbe bastato dire che alla scadenza del contratto il giocatore
avrebbe dovuto ricevere gli stessi emolumenti o essere lasciato libero di scegliersi
una nuova squadra, ma come molte leggi che riguardano gli umani si è fatto il
peggio, si è semplicemente passato da un eccesso all’altro.
Il caso
di Felipe Anderson è invece qualcosa che ha
a che fare con una situazione in cui un giocatore sud americano può
avere addirittura una moltitudine di padroni diversi dalla semplice società
calcistica. La possibilità, l’eccezione che la Fifa concede al sud America, che
il cartellino possa essere di proprietà anche di privati può portare a
comportamenti odiosi, che pur tenendo conto della situazione di relativo privilegio
economico del giocatore, possono assomigliare a forme di neo schiavismo tout
court. Quando la stessa società calcistica che ne possiede una percentuale del
cartellino è soddisfatta dall’offerta di una società terza, il giocatore non
può essere condannato a restare, peraltro rimanendo spesso in panchina, in una situazione di evidente
disagio, perché qualcuno vuole per la sua parte cifre e condizioni folli.
Quando la Fifa si renderà conto che questa situazione non è più sostenibile?
Decimo
Nessun commento:
Posta un commento