La Società Podistica Lazio
nacque per volontà di nove ragazzi di Roma che per poter correre gare podistiche,
sport che amavano, si sarebbero dovuti iscrivere obbligatoriamente ad una
società sportiva e loro, ragazzi del fare, capitanati da Luigi Bigiarelli,
decisero che avrebbero corso per una società da loro fondata. Così nacque la
Lazio, la Società Podistica Lazio. I nove decisero di fondarla richiamandosi
agli ideali de coubertiniani della prima olimpiade moderna che si era svolta
solo 4 anni prima. I giochi olimpici si svolgevano nell’antichità ad Olimpia in
onore di Zeus, e nei giorni in cui si gareggiava si sospendevano anche le
guerre (tregua olimpica). Tutti gli uomini liberi potevano partecipare alle
gare al di là del loro credo religioso e del loro censo. Con il termine di
Olimpiade si intese rappresentare la distanza di quattro anni tra due giochi olimpici.
La nascita della Olimpiade
moderna, voluta come detto dal barone Pierre
de Coubertin esaltò ancora di più lo spirito di fratellanza e di sportività
universale. Resta famoso il detto
:”L’importante è partecipare, non
vincere”. I nove ragazzi decisero, con la creazione della loro società, di
andare straordinariamente controcorrente. In un’epoca di nazionalismo “patologico”,
dove milioni di persone con gli stessi ideali, con gli stessi interessi, con la
stessa religione, si trovarono a invocare Dio, Patria, e Famiglia, per uccidere
persone che la pensavano come loro ma che parlavano soltanto una lingua
diversa, per la gioia del mercante di cannoni di turno, per andare poi a
morire, con la prima guerra mondiale, per conquistare e perdere 30 metri di
trincea, ogni giorno, per 5 lunghi anni, loro, quei nove ragazzi, fecero altro.
Decisero appunto, all’alba di quei tempi bui, di richiamarsi al contrario agli
ideali sovranazionali e universali delle olimpiadi, a quegli ideali che
affratellano i popoli, e di prendere come colori sociali i colori del bianco e
del celeste che erano i colori della Grecia (orrore per ogni nazionalista),
nazione dove i giochi olimpici erano nati nel 776 a.c., e tornati in auge con la prima
olimpiade moderna del 1896.
Per inciso, e cosa di non poco conto, il
bianco e il celeste sono anche i colori del cielo e degli uomini liberi, quelli
uomini che riescono a pensare, sognare, agire, oltre il limitato orizzonte in
cui si rinchiudono da soli gli altri, gli uomini delle tnebre. La massa informe
che non riesce ad andare oltre il ridicolo e ristretto panorama offerto dal
proprio naso. Quelli senza sogno e senza pensiero che non riescono ad essere
altra cosa dalla squadra della “parrocchietta” che li rappresenta mentre ripetono
beonamente il loro stupido mantra: “ Il mi su de Milan e so’ del Milan” a cui
fa il verso l’altrettanto ridicolo e limitato “Io so’ de Roma (così chiamano
tra di loro Corropoli) e so’ da roma”.
Questo è ciò che ci accomuna ai nostri padri.
Ma ho la sensazione che qualcuno travisi questa storia. Se la si stravolge,
anche in particolari apparentemente insignificanti, si corre il rischio che
ogni singolo tassello di questo stupendo puzzle non vada al proprio posto e non
risplenda di quell’amore, di quella luce che la storia della Società Podistica
Lazio si merita.
Andare sulla tomba del
nostro fondatore per omaggiarlo con la coppa di Maggio, vinta nel derby dei
derby, è bellissimo, ma dichiararlo il fondatore della ss. Lazio è a mio parere
sbagliato, e non di poco. Lui ha fondato la Società Podistica Lazio, con tutto
quel che ne consegue a cascata sugli ideali che la videro nascere. Altra cosina.
Ognuno nella sua vita è un’insieme di cose, anche apparentemente
contraddittorie. Ma spesso uno migliora, cambia, anche per le esperienze
vissute. Considerando che Bigiarelli non volle mai essere presidente della
Società podistica Lazio, per aver in quegli inizi del 1900 considerato la nuova
società una società di liberi e di uguali, una foto che lo ritraesse da civile
e non come militare, con tutto quel che è insito, gerarchicamente parlando in
una uniforme, no?
Oltretutto scusate, ritornando
a cosa fu fondato da Luigi Bigiarelli e altri 8 ragazzi, chi avrebbe il
coraggio di dire che Romolo fu il fondatore dell’impero romano, solo perché a
noi piace ricordare quel particolare, glorioso periodo della storia di Roma? La
leggenda dice che il laziale Romolo, con il fratello gemello Remo, fondò
Roma, ed è la loro grandezza, punto. L’impero venne più tardi, 726 anni dopo.
Purtroppo vedo gente tifosa della squadra di
calcio ss. Lazio, e non laziali “dentro”, che hanno comportamenti in tutto o in
parte uguali a quello dei loro cuginetti romanisti. Io sono laziale e non ho né
mi sento cugino di nessuno, a maggior ragione di coloro che Roma accolse da
pellegrini, da romei, nel 1927 e che,
con la faccia tosta che li connota
da sempre, non conoscendo la storia, ogni tipo di storia, pensarono
di farsi romani, accusando da quel
momento i romani della Lazio di essere burini, e riuscendo solo ad essere quegli
esseri boriosi e tristi, fanfaroni e casinari, che noi conosciamo. Per questo
gradirei che anche ai massimi livelli societari ci si ricordi della Società
Podistica Lazio e degli ideali che l’hanno vista nascere. C’è sempre tempo per
parlare di calcio, di 4-3-2-1 o di 4-3-3 o di un due tre e tutti giù per terra,
ma ogni momento è buono, deve essere buono, per ricordare i nostri ideali di
vita e di sport che, in una ricerca parossistica di motivazioni antiromaniste, non possono né devono essere
dimenticati, nè snaturati, per non veder stravolto il nostro stesso essere
laziali.
Noi abbiamo portato il calcio
a Roma? E questo deve essere l’unico motivo del nostro vanto? Io da laziale, e
quindi l’antitesi del tifoso passionale e culo mollo, che si fa bello del
sudore e delle fatiche degli altri, dico che il merito principale della Società
Podistica Lazio è quello di avere portato lo spirito olimpico a Roma, e in
Italia, e noi purtroppo sappiamo che non parlandone mai in abbondanza, spesso
sottacendoli, quegli stessi ideali che ci hanno visto nascere possono essere traditi
da chi non ha capito bene la storia della società di cui si dichiara tifoso, o nella
quale fa il giocatore a pagamento. Noi non potremmo mai essere i Rugantini
vigliacchi e pavidi, pronti a schernire gli avversari dopo una loro sconfitta.
Il laziale non sarà mai colui che aspetta mesi, anni, con la maglietta che
irride, vigliaccamente coperta, per poterla esibire in un derby vincente che
tarda da tanto tempo a venire, perche noi appunto siamo laziali e gli altri non
li irridiamo, noi giochiamo a pallone e gli
avversari li affrontiamo sfidandoli a viso aperto, rispettandoli. Ma questo
comportamenti antisportivi comunque
giustificabili se praticati dai foresti romei che vollero farsi romani, non lo
saranno mai per chi si spaccia per laziale non essendolo. Resta, fatto non da
poco, che la Polisportiva Lazio è la più grande polisportiva europea (e forse
mondiale) con ben 44 discipline praticate. Sportivi che lottano e non tifosi
che ululano il loro fallimento esistenziale.
Si dice che abbiamo portato
il calcio, anche il calcio, a Roma, ma questo da solo non ci caratterizza, non
ci diversifica dagli altri, per il semplice fatto di averlo fatto prima, anzi
ci può pericolosamente accomunare a quel modo di vivere che non amiamo. Tutte
le squadre della parrocchietta, quelle nate richiamandosi al più bieco e
ridicolo nazional provincialismo, hanno visto la luce in nome del calcio
campanilistico. Per questo ritenerci i primi ad aver portato il calcio a Roma,
può essere considerato quasi un delitto per un laziale, se si nascondono, si
sottacciono, gli ideali che ci videro nascere, ben più importanti della
disciplina di un singolo sport. Dire di aver portato il calcio a Roma e
sottocere il resto sarebbe come descrivere la grandezza di Cesare, che grande
sicuramente lo fu, perché grande fu la
sua corona di alloro. Argomenti da tifoso di una squadra di calcio della
parrocchietta appunto, non da laziale, che sa tanto peperonista nazional
popolare. Noi non siamo come gli altri e la nostra storia non ci differenzia dagli altri perché siamo
arrivati prima ma perché lo abbiamo fatto con un sogno grandioso in totale
contrapposizione a coloro che sono arrivati dopo. Chiarisco meglio per
combattere quella metodica, devastante, maniera di pensare che ci può fare
tanto simili a coloro che combattiamo. Premiare qualcuno con un premio
lazialità per aver giocato bene a calcio, e sul campo difeso i colori della
nostra squadra, non fa di un giocatore pur bravo un laziale vero, altrimenti
dovremmo pensare che se un tal Francesco avesse scelto i nostri colori, sarebbe
stato un grande laziale, solo perché sapeva giocare bene a pallone. Io credo
che il Francesco di cui sopra è, al contrario, un grande esponente di quel
calcio nazional provinciale che sa irridere gli avversari sconfitti, li prende
a sputi e a calci in testa dopo averli, con un calcio ben assestato gettati a
terra. È per questo un grande interprete peperonista osannato dai suoi tifosi, ma è proprio per questi motivi che non sarebbe
mai potuto essere un laziale, anche se avesse fatto vincere alla nostra squadra
degli scudetti. Ovviamente essere in una radio”laziale” e parlare, meglio
sproloquiare di calcio e tecniche legate a quella disciplina a lungo andare ti
può far assomigliare ai tuoi nemici
peperonisti. Comprendete l’assurdità e la pericolosità di certi sragionamenti
radiofonici?
Mi ripeto per chi ha problemi
a comprendere. Aver portato il calcio a Roma può essere motivo di ulteriore
vanto avendo però ben presente che la grandezza dello stupendo sogno laziale
sta nell’aver portato lo spirito
olimpico a Roma. Noi non siamo grandi per essere nati 27 anni prima di altri ma
per essere stati i primi in Italia ad aver dato vita al sogno olimpico, dello
sport universale che affratella i popoli e fa cessare le guerre, e di averlo
fatto, a maggior gloria di chi ci fece nascere, in un’epoca buia e piena di
vuota, ma non per questa meno pericolosa, retorica nazionalista. C’è, come
detto, qualcuno che, con la successiva
nascita della Società Sportiva Lazio, che di quella storia stupenda è comunque
la continuazione a pieno titolo, queste cose se le è scordate, o ha voluto
scordarle, sarà bene che se le rammenti, perchè si è laziali per un modo di
essere, per uno stato dell’anima, per
una scelta di vita, o si è altro, magari lontani cugini, che con la storia dei
nostri padri non c’entreranno mai nulla.
Decimo