N.28
07/06/13
Che a Roma ci siano due modi di essere, di
vivere, completamente contrapposti, lo sanno pure i sassi. C’è chi sa di essere
figlio di una città “…..che tante battaje ha vinto e tante perso….” e certo non si riscalda più di tanto per la
vittoria in un derby (anche se il più importante di tutti i tempi, da quando
sono nati gli altri), e per cui
“…..stanotte hanno vinto i fiji nostri, quelli veri, quelli nobili dentro, quelli
che sanno dà a ‘na partita de pallone er giusto peso, du’ corpi de clacson pe’
salutà n’amico e gnente de più…..”.
E poi ci sono gli altri, la maggioranza,
di cui lei signor Dotto, fa degnamente parte. A proposito il suo cognome cos’è
uno scherzo del destino? Lei prende in giro uno dei simboli di Roma l’aquila e il più nobile dei comportamenti. Perché vede
signor Dotto/cognome scherzo del destino, il fare le cose, il combattere per le
proprie idee e poi, dopo aver vinto, tornare a casa senza infierire sugli
avversari, paghi soltanto di quella gioia interiore che appaga chi è e non vuole apparire, è per lei una cosa
inconcepibile, è il niente, ed è invece la romanità, quella vera, che non sarà
mai moltitudine, plebe.
Comprendo che quanto le dico, signor Dotto/cognome
scherzo del destino, detto anche Strepitus vulgaris (non c’è un termine in latino che
descriva la caciara che lei così tanto adora), Le è particolarmente ostico
visto che il suo pensare, e di quella moltitudine di cui fa parte a pieno titolo, è l’esatto contrario
di quel nobile sentire. Voi siete i senza storia , gli strepiti per un nulla, i
poveri dentro anche se pieni di volgarissima robba ( due b posson bastare?),
voi siete la moltitudine degli altri, la caciara appunto di ….. “…..a Colossè,
l’artri, come tu li chiami, so’ plebe, so’ liberti, so’ mezzi schiavi, è gente
co’ cui er destino è stato avaro, forse è pe’ questo che je piace fa caciara,
unica soddisfazione de na’ vita troppo amara anche se….”.
Noi, al contrario, distolti dalle nostre
normali occupazioni per fronteggiare l’incombente pericolo che voi
continuamente rappresentate per la vita di Roma e dei suoi monumenti, abbiamo
fatto quello che è il dovere di ogni civis romanus. Lasciare gli arnesi dei
nostri lavori quotidiani per prendere le spade e le lance (in senso metaforico,
ovviamente!) per la difesa di Roma dai suoi nemici, per poi tornare alle nostre
normali occupazioni, come la storia dei nostri padri ci insegna. Mille volte
meglio essere un Lucio Quinzio Cincinnato, solo con le sue vittorie, nel
silenzio dei suoi campi, che essere moltitudine, plebe dentro, come voi siete,
in compagnia delle poche, per fortuna, vostre rumorosissime vittorie e delle
tante silenziatissime sconfitte. Dal livore
con cui scrive comprendo che ha capito anche lei che questo derby perso ne vale
cento e che con gli altri vinti “ce potete
incartà le alici”, per sempre.
Un aneddoto che mi rallegra il cuore. Roma
centro, grande cortile, dove i ragazzi giocano a pallone. All’inizio dell’anno
i piccoli peperones, scudettati come sempre, sono spavaldi, imbragati nelle
loro felpe rosso vergogna e giallo itterizia, poi, con le avversità del
campionato, le felpe scompaiono per
riapparire, timidamente, alla vigilia del
derby dei derby, e poi più il nulla.
Dov’è il significato dell’aneddoto caro
Dotto/nome scherzo del destino? Ma nel
seguito del racconto. Pomeriggio di domenica 2 giugno, sempre nel grande
cortile al centro di Roma. Ma quello con la maglia del Napoli non è ….., il
figlio di ….., ma si è proprio lui! D’altronde il padre è di origini napoletane
ed è meglio stare con i secondi…..almeno finchè la Roma non vince un altro scudetto
estivo. Certo due maglie sono meglio di una….. Con cattiveria potrei asserire
che una domenica sarà romanista e l’altra napoletano, ovviamente a risultati
acquisiti, ma sono certo, al 1000%, che
nun sarà mai un laziale.
Mi sento, proprio per questo di fare un
appello, a tutti coloro che vorrebbero salire sul carro del vincitore, non vi
azzardate. Essere laziali o romanisti è uno stato d’animo e voi romanisti lo
sarete sempre, dentro. No, non avete nessuna speranza di diventare laziali, il
popolo del niente, degli invisibili, che vi ha portati nella storia, da vinti!
Ah, dimenticavo. Lei, signor Dotto/cognome
scherzo del destino, dice di scusarsi,
che scherzava, io no. Le ho solo raccontato una storia che Lei si rifiuta di
conoscere. Il bello di questa cosa sta nel fatto che vi è arrivata addosso una
legione di romani coesa, come direbbe
qualcuno, compatta, pronta a difendere Roma dalle vostre offese, e che dopo
avervi lasciato stesi sul campo se ne è andata, inafferrabile, avvolta nel nulla e cinta di gloria. Lei tutto
questo, da sapido esaltatore di “caciare” qual è, lo chiama il nulla, sbaglia è
storia, la storia.
Decimo il laziale
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