Questo sito fa uso di cookie per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’utilizzo del sito stesso. Utilizziamo sia cookie tecnici sia cookie di parti terze per inviare messaggi promozionali sulla base dei comportamenti degli utenti. Può conoscere i dettagli consultando la nostra privacy policy qui " https://societapodisticalazio.blogspot.com/p/politica-dei-cookie.html". Proseguendo nella navigazione si accetta l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito.

Etichette

29 giugno 2013

(34) CASO FELIPE ANDERSON. IL MERCANTE DI FORMELLO E’ DIVENTATO UNO SPARTACO SPEZZA CATENE?


(34)
28/06/2013



    Solo i cretini non cambiano mai parere e alcune cose da me dette su Lotito debbono essere cambiate alla luce degli ultimi avvenimenti. Iniziamo.

     Nel post del giorno precedente al derby di coppa (Derby di Tim Cup, un derby da storie da Lazio) definivo quel derby una storia da Lazio visto che la nostra società era stata data, da signori che avevano note simpatie per la squadra dei corropolesi (leggi Andreotti e Storace), al cognato di Mezzaroma, la cui famiglia era stata proprietaria, in coabitazione con i Sensi, della Romea. Fu così che il fino ad allora sconosciuto Claudio Lotito diventa presidente della società sportiva Lazio. Appena insediato, grazie ai tifosi raggiunge un accordo con l’Agenzia delle entrate per spalmare il debito che la società aveva con l’erario e inizia a fare pressioni per far costruire lo  stadio della società sui terreni che la famiglia dei Mezzaroma possiede sulla via Tiberina. Diciamo che è una delle non poche sinergie che ogni tanto emergono tra il presidente della Lazio e la sua famiglia acquisita, con la quale condivide tra l’altro la proprietà della Salernitana.

     Dunque Lotito entra in possesso dell’oggetto del nostro amore grazie a tutta una serie di personaggi istituzionali peperones e  chiedendo probabilmente  il parere sull’affare ai Mezzaroma, visto che nel calcio, a differenza sua, c’erano già stati e certo ne sapevano di più di lui. Da lì i sarcasmi di molti peperones sul Lotito romanista alla guida della Lazio. C’è chi spergiura sul Lotito giallorosso e chi al contrario sul Lotito biancoceleste. Girano su youtube filmati in cui si trova in mezzo a tifosi peperones esultanti per un gol segnato ad un derby ma ad onor del vero lui non sta festeggiando. Quasi da subito si contrappone con una parte del tifo laziale, che di suo non ci fa poi una bella figura visto che voleva far comprare la squadra ad una cordata con  personaggi legati alla malavita, anche se il tutto si spera in buonafede

      Certo il carattere spigoloso di Claudio Lotito non aiuta e questo, legato anche a scelte di mercato, comincia a creare una frattura sempre più larga con un bella fetta di tifosi. Comprare una decina di giocatori l’ultima giornata di mercato, a parametro zero, non è proprio il massimo e andare in Champion e vedersi la squadra rafforzata con i Vignaroli e gli Artipodi non ti rende felice. Anche le sue visioni ragionieristiche non aiutano. Definire una jattura economica la vincita di  uno scudetto non solo non va incontro ai tifosi ma è anche una stupidaggine bella e buona. Per vincere gli scudetti non è necessario fare delle follie e spero che il nostro prima o poi comprenda che il Manchester United, con una capitalizzazione di oltre 2.000 milioni di euro, è un grande affare economico, al contrario della  Lazio, relegata al nulla con quei ridicoli 27 milioni di capitalizzazione.

    Credo che qualcuno non abbia compreso le enormi potenzialità di rivalutazione della ss. Lazio. Per far capire prendo ad esempio sempre il Manchester United. Negli ultimi 27 anni ha vinto 38 trofei e la Lazio, nello stesso periodo 11, comprese due coppe europee (coppa delle Coppe e Super Coppa Europea vinta proprio contro il Manchester United). E’ vero che la squadra inglese lotta sempre per i primi posti e la Lazio non lo ha fatto in maniera continuativa ma capitalizzare 74 volte meno è ridicolo. E lo è ancora di più se si considera che la storia della Lazio è mille volte più bella, e le storie sportive belle date in mano a persone che sappiano rivalutarle producono sogni che si trasformano nel sentirsi parti dello stesso segno sogno, con tutto quel che ne consegue in royalty ed incassi, a fronte di costi contenuti. Tra l’altro una Lazio da primi posti in Europa avrebbe più credibilità anche a Roma per la costruzione del suo stadio.



      È nell’ottica della jattura economica che quando c’è da fare il salto qualitativo il nostro si blocca e non compra nessuno negando in pratica da circa tre anni la possibilità alla squadra di partecipare alla Champion, con quei vantaggi non solo sportivi ma anche economici che ne deriverebbero visto la sua ridicola capitalizzazione.

     Il danno enorme per la mancanza da anni di uno sponsor sulle maglie, il continuo litigio con alcuni giocatori che altrettanti danni economici hanno prodotto alla società, completano il quadro del personaggio, con tutti gli spigoli di cui è, per natura, abbondantemente fornito. Ma la gestione Lotito non è stata solo questo, non è stata solo fonte di arrabbiature per il laziale. I prezzi contenuti, i cuccioloni, Olimpia, sono comunque dei tentativi di riavvicinamento ai tifosi supportati da risultati sportivi che pur nel voluto (e ragioneristico) minimalismo hanno dato non poche soddisfazioni ai laziali.

     Certo il nostro è notevolmente supportato dal fattore C. (con la maiuscola per evidenziarne l’eccezionale qualità e quantità). Pensate che sarebbe successo se il 26 maggio….. Ma non è successo, e non solo per fortuna, perché comunque la  nostra squadra, nei suoi uomini base, è una delle migliori squadre del campionato, sicuramente migliore della più blasonata e costosa Romea.  Spendere di meno, molto di meno, per ottenere di più non può comunque essere mera fortuna, ci sarà del metodo o no?

     Dunque Lotito giallorosso o Lotito Biancazzurro? Quasi “me ne po’ fregà de meno”. Anzi sarebbe bello pensarlo solo giallorosso per la più completa e totale disperazione di lor signori (signori? È solo un modo di dire). Essere sconfitti da uno di loro ed avere un laziale, Muzzi,  sulla panchina della Romea ed un ex dirigente che si avvolge  di bianco celeste in campo potrebbe essere il risultato di una coreografia celestiale. Ma, tornando a Lotito, noi lo abbiamo visto gioire e sollevare la coppa, la coppa della nostra gloria e della sconfitta della loro boria, per cui basta con questa storia.

     Se il presidente Lotito, si presidente, smettesse di fare il mercante di Formello, non solo potrebbe diventare per caso il più grande presidente nella storia della Lazio, ma ne avrebbe dei vantaggi economici che a mio parere, come detto non gli sono ben chiari. Resta il fatto, ed è storia da Lazio anch’essa, che per la prima volta un presidente europeo riesce a spezzare la dittatura economica che permette, a società terze in sud America, di tenere prigioniero un giocatore contro la sua volontà e contro la volontà della società che lo fa giocare.

     Chiudo con due versi in romanesco:
 “Va a finì che artro che mercante de Formello,
basta vedè c’ha fatto co’ ‘a  storia de Anderson  Felipello,
quer poro talento sud americano
prigioniero de quer  fondo nimmanco brasiliano.

E dopo avè conosciuto er Lotito ragioniere,
scostante, spigoloso e de poche maniere,
eccotelo tiè   pronto a rompe tutte le catene,
come  Spartaco, pe’ allevià de l’artri tutte le pene.

                               Decimo




26 giugno 2013

(33) ROMA E’ SARVA!

N.  33
   24/06/2013
 
 
A un mese esatto dalla partita che ha salvato Roma un grazie di cuore a tutti quelli che , senza scriverlo su una sciarpetta, possono dire io c’ero, punto e basta. Agli altri, ai romatristi, che ne hanno fatta una in anticipo, dove appunto c’era scritto io c’ero un consiglio, non buttatela, d’inverno può sempre essere utile, magari aggiungendo per correttezza: “Io c’ero…..rimasto tanto male”, per sempre.
 
L’orda dei barbari finti stellati è stata  sconfitta a ‘e porte da città,
i muri, l’antichi monumenti, er Tevere possono finarmente respirà,
Nissun barbaro gallo cedrone o solo marsicano li potrà  pittà
co’ quei colori orendi che scimmiotteno ‘a romanità.
 
Nun so’ er rosso porpora e er giallo ocra come da tradizione
a esse i colori de ‘sta ridicola armata brancaleone,
ma er rosso vergogna e er giallo itterizia,
che ben rappresentano ‘a loro vita vissuta ‘n grande mestizia.
 
Comunque è ita come doveva annà
e i romatristi in rotta so’ iti via da qua.
So’ tornati  a casa loro co’ ‘a coda tra ‘e gambe
ne’ grigie valli dove abiteno  capanne brutte e sghembe.
 
Roma ar contrario, già all’arba der ventisette
sembrava avesse vinto solo n’a partita de tressette.
Nissun barbaro l’aveva violentata
e chi l’amava l’aveva co’ tanto amore accarezzata.
 
                              Decimo
 
 
 
 
 
 
 

 

24 giugno 2013

(32) FIFA. DALLA SENTENZA BOSMAN A FELIPE ANDERSON. DALL’IPER GARANTISMO EUROPEO AL SEMI SCHIAVISMO SUD AMERICANO.

 N.  32
   24/06/2013

  

     Nel 1995 la sentenza Bosman riconobbe che alla scadenza del contratto un giocatore ha il diritto a trasferirsi, a parametro zero, in un’altra società. Prese il nome da un giocatore, Bosman appunto, il cui cartellino era di proprietà della squadra di calcio Royal Football club di Liegi. Alla scadenza del contratto, con un evidente abuso, la società gli aveva ridotto lo stipendio e al contempo negato la possibilità di trasferirsi al Dunkerque perché ritenne inadeguata la cifra  offerta per il suo acquisto dalla squadra francese.

 

     Con quella sentenza in pratica si passò da un situazione in cui le società di calcio detentrici del cartellino avevano un fortissimo potere al suo esatto contrario, alla possibilità cioè del giocatore stesso di approfittare lui della situazione. Un giocatore di calcio, che certo non può considerarsi un normale lavoratore, considerando che nella sua pur breve carriera può arrivare a guadagnare in un anno anche migliaia di volte quello che guadagnano i comuni mortali, può arrivare a fare enormi danni alla società che ne detiene il cartellino. A poco tempo dalla scadenza contrattuale può scientemente rifiutare un rinnovo del contratto e/o una vendita ad altra società,  perché magari ha già raggiunto un accordo sottobanco con una società terza che sarà disposta a pagarlo con un contratto maggiorato considerando che non dovrà sborsare nulla  per il suo acquisto.

 

     Da una situazione in cui i giocatori non avevano diritto alla parola al suo esatto contrario. Sarebbe bastato dire che alla scadenza del contratto il giocatore avrebbe dovuto ricevere gli stessi emolumenti o essere lasciato libero di scegliersi una nuova squadra, ma come molte leggi che riguardano gli umani si è fatto il peggio, si è semplicemente passato da un eccesso all’altro.

 

    Il caso di Felipe Anderson è invece qualcosa che ha  a che fare con una situazione in cui un giocatore sud americano può avere addirittura una moltitudine di padroni diversi dalla semplice società calcistica. La possibilità, l’eccezione che la Fifa concede al sud America, che il cartellino possa essere di proprietà anche di privati può portare a comportamenti odiosi, che pur tenendo conto della situazione di relativo privilegio economico del giocatore, possono assomigliare a forme di neo schiavismo tout court. Quando la stessa società calcistica che ne possiede una percentuale del cartellino è soddisfatta dall’offerta di una società terza, il giocatore non può essere condannato a restare, peraltro rimanendo spesso  in panchina, in una situazione di evidente disagio, perché qualcuno vuole per la sua parte cifre e condizioni folli. Quando la Fifa si renderà conto che questa situazione non è più sostenibile?

 

                                                                   Decimo


 

    

23 giugno 2013

(31) ‘O SPEAKER.

N.30
23/06/13




Dar nome se comprenne già
Che gente ridicola è questa qua.
Speaker è nome straniero, d’a perfida Arbione fijo de sicuro,
è chi se spaccia pe’ romano ma è solo romeo puro, puro.

Ma er bello viene solo quanno ‘i senti parlà
de onore,  de gloria, d’a fine der mondo, a sti’ caciaroni qua.
Se vede proprio che nun so’ romani,
ma nimmanco italici, magari romei, forse marsicani.

E co’ tutta qua granne boria
in cui s’esartano pe’ ‘na vanagloria
pensano sempre d’esse dar padreterno riccomannati
pe’ riscattà a vita che fanno, de schiavi tanto, troppo sfigati.

E cosi  loro, che n’a storia c’hanno avuti pochi risultati,
da finti dotti, caricano ‘a coppa Itaja de troppi significati,
e come sempre puntuali, i veri eredi d’a romanità,
‘i riempieno de schiaffi, ‘n granne e copiosa quantità.

Poi silente, come Cincinnato che ha  sarvato l’eterna città,
chi ha vinto torna contento a casa, da ‘e fatiche a riposà,
e se scompiscia de grasse risate a sentì  er lamento de quelli che nun so’ de Roma,
pe’ avè fatto un botto peggio de  quello granne, granne, d’Hiroshima.


                                                             Decimo



19 giugno 2013

(30) ER DERBY D’O SCIACQUONE.

N.30
17/06/13
           


 

Foro parla  rivorto ar Colosseo. “Te vojo arriccontà de quanno li dei fecero ‘na granne invenzione,

         co’ a quale’, da  quer momento, er monno intero netta  ‘gni brutta situazione”.


 “ C’era poco da capì de come ‘sta finale poteva finì.

So’ armeno un par de mila anni che li dei stanno tutti lì,

pronti a dà sempre ‘na lezione a li nipoti de Serse l’infame

che  l’olimpo voleva conquistà tra mille inghippi e  mille brame.


Figuramose poi se Giove, Zeus o come  ‘o voi chiamà,

je permetteva de vince a coppa contro quelli dell’olimpià.

Greci o romani  co’ ‘i colori der cielo so’ comunque abbandierati,

li romei invece so’ miscredenti puri e solo de robbaccia so’ abbardati.


Ma siccome gli dei nun so’ mai stati infami,

j’avevano mannato messaggi chiari a tutti ‘i persiani.

Ar boemo zedenecco, quello de “noi in quarantamila e  loro solo in cinquecento”,

j’avevano mannato ar derby un primo temporale pe’ affogallo de tutto punto.


A Persià, così parlaveno li dei,  er derby co’ ‘a coppa ‘n palio, non sarà mai  vostro

visto che da  tradizione olimpica è sempre der laziale, er vero fijo nostro,

quinni cercate, pe nun pijà troppii schiaffi ‘n finale,

de perde prima,   de uscì co’  a Florentia, o puranco  co’ l’Internazionale.


Ma loro, bruzzesi capatosta, già sognaveno d’appuntasse a stella de latta

su qu’a maja, pe’ quei colori troppo brutta.

È pe’ questo che so’ arivati ‘n finale e so’ entrati n’a storia,

ma d’a parte de quelli c’hanno perso tutto co’ nimmanco ‘n briciolo de gloria.


Li dei, iti in puzza pe’ li segni premonitori rifiutati

da tutti  li romei ridenti e già affesteggiati,

tosto pensarono a daje ‘na punizione

mille vorte piu forte der derby dell’acquazzone.


E mannarono tant’acqua, e tutt’assieme,

che in un baleno svotò la sud der tristo insieme.

Fu così che dopo er derby de l’acquazzone

er derby de coppa sar’aricordato come er derby d’o sciacquone.”


 Er Colosseo a sentì sto ber fatto,  dar foro ariccontato,

d’a fine de li romei s’era  comunque preoccupato:

“Porelli, n’ po me dispiace pe ‘a fine c’hanno fatto,

morti tutti,  co’ a curva in un attimo svotata da sto’ sciacquone, pur se benedetto….”


 “A colossè ma che stai a dì,  ma te pare che questi possono morì?

So’ romei buri, tignosi e montanari, ‘o dovresti capì.

Questa è gente che ar derby  nun ha preso mai ‘na palla,

ma morti no suvvia, e come qua cosa, so’ rimasti tutti a galla.

                                                                Decimo


Dedico questa poesia a quei due laziali  incontrati a Ponte Milvio, ai funerali della Romea. Mi commentano la maglia che indossavo, gli declamo la poesia “Na’ squadra co’ i colori der cielo” e salutandoli  uno dei due, purtroppo non ricordo il nome mi fa: “A poeta pensace bene, è come se quarcuno avesse tirato o’ sciacquone, in curva so’ spariti tutti, facce ‘na poesia?” .


    Io  l’ho fatta e grazie pe’ l’idea. Se te capita de leggella fatte sentì, è dedicata a te, de diritto. Decimo.


13 giugno 2013

(29) FINALE DEL CAMPIONATO PRIMAVERA. COME EVITARE ACCURATAMENTE I CONTATTI TRA OPPOSTE TIFOSERIE.

N.29
11/06/13


    Gubbio, la finale tra Lazio e Atalanta finisce 3 a 0. Qualche minuto per  festeggiare i propri beniamini, e poi subito via verso Roma. Il desiderio resta però pio, almeno per una quindicina di minuti. Noi chiusi dentro per ordine della polizia mentre i tifosi atalantini vengono fatti sgomberare.

 

    Ovviamente tutto questo perché in questo paese non si riesce a debellare la piaga dei comportamenti violenti che al contrario, con l’apporto delle tecnologie, potrebbe essere debellati del tutto.

 

     Il dirigente di polizia decide che i tifosi laziali non devono andare con le loro auto a sinistra  in direzione della superstrada ma debbano tornare indietro, costeggiare la tribuna, e andare verso il paese. Per questo ci sono degli sbarramenti fatti anche con blindati. E noi con un po’ di traffico, una macchina dietro l’altra, in fila disciplinatamente perché qualcuno ci vuole evitare incontri con i tifosi atalantini. All’altezza dell’altra curva, di fronte agli sbarramenti della polizia, ci sono una cinquantina di “apparentemente” poco calmi tifosi bergamaschi, a neanche due metri dalle nostre macchine. Contatto evitato perché loro, i “poco calmi”, non hanno voluto scontri , almeno quando siamo passati noi, non certo per le scelte cervellotiche di chi doveva evitare qualsiasi contatto.

 

                                                                   Decimo

 

 

07 giugno 2013

(28) GLI EREDI DI LUCIO QUINZIO CINCINNATO, IL DOTTO STREPITUS VULGARIS, E IL NIENTE CHE LI HA SCONFITTI.

N.28
07/06/13


 

    Che a Roma ci siano due modi di essere, di vivere, completamente contrapposti, lo sanno pure i sassi. C’è chi sa di essere figlio di una città “…..che tante battaje ha vinto e tante perso….”  e certo non si riscalda più di tanto per la vittoria in un derby (anche se il più importante di tutti i tempi, da quando sono nati gli altri),  e per cui “…..stanotte hanno vinto i fiji nostri, quelli veri, quelli nobili dentro, quelli che sanno dà a ‘na partita de pallone er giusto peso, du’ corpi de clacson pe’ salutà n’amico e gnente de più…..”.

     E poi ci sono gli altri, la maggioranza, di cui lei signor Dotto, fa degnamente parte. A proposito il suo cognome cos’è uno scherzo del destino? Lei prende in giro uno dei simboli di Roma l’aquila e  il più nobile dei comportamenti. Perché vede signor Dotto/cognome scherzo del destino, il fare le cose, il combattere per le proprie idee e poi, dopo aver vinto, tornare a casa senza infierire sugli avversari, paghi soltanto di quella gioia interiore che appaga chi è  e non vuole apparire, è per lei una cosa inconcepibile, è il niente, ed è invece la romanità, quella vera, che non sarà mai moltitudine, plebe.

     Comprendo che quanto le dico, signor Dotto/cognome scherzo del destino, detto anche Strepitus  vulgaris (non c’è un termine in latino che descriva la caciara che lei così tanto adora), Le è particolarmente ostico visto che il suo pensare, e di quella moltitudine di cui  fa parte a pieno titolo, è l’esatto contrario di quel nobile sentire. Voi siete i senza storia , gli strepiti per un nulla, i poveri dentro anche se pieni di volgarissima robba ( due b posson bastare?), voi siete la moltitudine degli altri, la caciara appunto di ….. “…..a Colossè, l’artri, come tu li chiami, so’ plebe, so’ liberti, so’ mezzi schiavi, è gente co’ cui er destino è stato avaro, forse è pe’ questo che je piace fa caciara, unica soddisfazione de na’ vita troppo amara anche se….”.

     Noi, al contrario, distolti dalle nostre normali occupazioni per fronteggiare l’incombente pericolo che voi continuamente rappresentate per la vita di Roma e dei suoi monumenti, abbiamo fatto quello che è il dovere di ogni civis romanus. Lasciare gli arnesi dei nostri lavori quotidiani per prendere le spade e le lance (in senso metaforico, ovviamente!) per la difesa di Roma dai suoi nemici, per poi tornare alle nostre normali occupazioni, come la storia dei nostri padri ci insegna. Mille volte meglio essere un Lucio Quinzio Cincinnato, solo con le sue vittorie, nel silenzio dei suoi campi, che essere moltitudine, plebe dentro, come voi siete, in compagnia delle poche, per fortuna, vostre rumorosissime vittorie e delle tante silenziatissime  sconfitte. Dal livore con cui scrive comprendo che ha capito anche lei che questo derby perso ne vale cento e che con gli altri vinti “ce potete  incartà le alici”, per sempre.

     Un aneddoto che mi rallegra il cuore. Roma centro, grande cortile, dove i ragazzi giocano a pallone. All’inizio dell’anno i piccoli peperones, scudettati come sempre, sono spavaldi, imbragati nelle loro felpe rosso vergogna e giallo itterizia, poi, con le avversità del campionato, le felpe scompaiono  per riapparire,  timidamente, alla vigilia del derby dei derby, e poi più il nulla.

    Dov’è il significato dell’aneddoto caro Dotto/nome scherzo del destino?  Ma nel seguito del racconto. Pomeriggio di domenica 2 giugno, sempre nel grande cortile al centro di Roma. Ma quello con la maglia del Napoli non è ….., il figlio di ….., ma si è proprio lui! D’altronde il padre è di origini napoletane ed è meglio stare con i secondi…..almeno finchè la Roma non vince un altro scudetto estivo. Certo due maglie sono meglio di una….. Con cattiveria potrei asserire che una domenica sarà romanista e l’altra napoletano, ovviamente a risultati acquisiti, ma sono certo, al 1000%,  che nun sarà mai un  laziale.

     Mi sento, proprio per questo di fare un appello, a tutti coloro che vorrebbero salire sul carro del vincitore, non vi azzardate. Essere laziali o romanisti è uno stato d’animo e voi romanisti lo sarete sempre, dentro. No, non avete nessuna speranza di diventare laziali, il popolo del niente, degli invisibili, che vi ha portati nella storia, da vinti!

     Ah, dimenticavo. Lei, signor Dotto/cognome scherzo del destino,  dice di scusarsi, che scherzava, io no. Le ho solo raccontato una storia che Lei si rifiuta di conoscere. Il bello di questa cosa sta nel fatto che vi è arrivata addosso una legione di romani coesa,  come direbbe qualcuno, compatta, pronta a difendere Roma dalle vostre offese, e che dopo avervi lasciato stesi sul campo se ne è andata, inafferrabile,  avvolta nel nulla e cinta di gloria. Lei tutto questo, da sapido esaltatore di “caciare” qual è, lo chiama il nulla, sbaglia è storia, la storia.

                                                                   Decimo il laziale

 

    

 

 

06 giugno 2013

(27) ER TEVERE SE L’E’ PORTATA VIA.

N.27
06/06/13


 

A l’età de 86 anni, dopo ‘na breve malattia,

la Romea è scomparsa, è volata via.

Ner darne er tristo annuncio l’avversari addolorati

s’ereno messi ‘n testa che l’onori j’annaveno tribbutati.

 

E dopo ave’ de lei goduto pe’ tutti st’anni,

volevano  allevià de ‘i romatristi tutti l’affanni.

Ce penseremo noi a fa’ er funerale p’a dipartita

d’a squadra vostra, dar campo tosto sparita.

 

Presto s’approccia ‘na camera ardente da ‘e parti de Ponte Mollo

ma er Tevere  che de pijalla a carci nun era  mai stato satollo,

decise de giocaje l’urtimo scherzetto gnente male

scatenandole contro un violento temporale.

 

E tanto piovve, come se fosse ‘n diluvio universale,

che in un’attimo di distrazione generale,

er Bionno se la prese lesto in un minuto

dopo avè, d’a scomparsa sua, tanto goduto

 

 Fu così che la Romea, corropolese pura pura,

mori du’ vorte n’a settimana d’a vergogna imperitura.

E dopo esse morta pe’ sempre sur campo de pallone

er Tevere bionno l’affogò puro con ‘n violento acquazzone.

 

                                         Decimo