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24/09/13
La
giustizia sportiva non ha mai voluto usare la tecnologia per eliminare quelle
situazioni che oltre a creare torti reiterati per qualche squadra, sono una
fabbrica di rabbia per i tifosi delle
squadre che le subiscono. Per questo si sono inventati la tecnologia ma solo
per i fatti non visti e non sentiti dagli arbitri. Per cui un giocatore che
invece di fare un fallo per il quale è stato ammonito dall’arbitro ha dato al
suo avversario un micidiale colpo di Karatè non può essere più perseguito,
partendo dal presupposto che l’arbitro ha visto e sanzionato, anche se ha visto
sbagliato. La prova televisiva si ha solo se l’arbitro non lo ha visto
commettere il fallo.
Semplice
allora. Basta rivedere la cassetta e sanzionare il giocatore o i tifosi, perché
ora anche i tifosi possono essere sanzionati, con le pene previste per ogni
infrazione. Questo in un paese dove la giustizia sportiva non sia diventata una
cosa arbitraria in cui la prova televisiva si utilizza a discrezione di chi
visiona la documentazione e sopratutto con la discrezione di chi la propone.
Per cui
può accadere che viene sanzionata una curva in cui un bella fetta di tifosi fa
buu razzisti contro Pogba, ma con i fischi di contrarietà degli altri tifosi, e poi tifosi compatti di un’altra curva, la
sud per esempio, fanno buu razzisti a
Cavanda, che pur nel frastuono del derby si sentono chiarissimi fino all’ultima
fila di spettatori in curva nord e non solo l’arbitro e la quaterna a sostegno
non sentono ma neanche i giornali, quantomeno Repubblica, che non ne scrive da
nessuna parte il giorno dopo.
In
compenso Repubblica parla di tifosi laziali che più che provocare delle
violenze vere e proprie sono solo degli schiocchi che le violenze se “le
capeno” come si dice a Roma visto che gli unici a rimetterci sono proprio loro,
con il loro arresto. Senza poi considerare che la violenza per un atto sportivo
è quanto di più antilaziale si possa commettere perchè la Lazio, e non altri,
si richiama agli ideali dell’Olimpiade che unisce e affratella i popoli.
Sicuramente non sono questi gli ideali dell’edizione romana di
Repubblica, o non lo sono sempre stati, visto che cosa fece quando il 16
ottobre 2011, subito dopo il derby, un centinaio di black block romanisti
assaltarono famiglie, pacifici tifosi della Lazio, spezzando anche ossa come da
referti ospedalieri. Allora nessuno
scrisse nulla e tutti i giornali romani si ammantarono di un silenzio che sarà
come una macchia indelebile che racconta la parzialità “demenziale” e vigliacca
di certo giornalismo romano. Due pesi e tante misure. Il bello di tutto questo
è che loro si sentono i moralizzati, l’etica fatta persona. Ne riparle…Remo e
puro Romolo sarà d’accordo ……a riparlarne.
Decimo
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