N.36
07/07/13
In tutte
le scuole per investigatori si insegna non solo che un indizio non deve essere
necessariamente una prova di
colpevolezza ma anche che molti indizi fanno al contrario un colpevole certo. I
fatti. C’è a Roma una vera e propria cupola simil mafiosa che nelle redazioni
dei giornali romani, e forse non solo, sottace, quando può, notizie che possono
mettere in risalto le azioni sportive della ss.Lazio, anche quelle passate, per
evidenziare a dismisura qualsiasi cosa faccia la Roma, forse per esaltare quella
capacità di una parte della città, quella che non ricorda di far parte di una
storia “…..che tante battaje ha vinto e tante perso….” che è pronta “ad
abboccare” a qualsiasi cosa, anche quando chi scrive su quei giornali
peperonisti più che esaltarli sembra prenderli, inconsciamente o meno, in giro ( a Roma se dice co’ artre parole).
Clamoroso, evidente, in merito a quanto asserisco, è il titolo del
Corriere dello Sport di sabato 15 settembre 2012. Quel “In centomila per la Roma” in cui giornalisti di parte (ma qualche dubbio che
sia stato fatto da un laziale, per “perculeggiare”, mi rimane) esaltano la
credulità innata in chi è venuto “da fora”. Moltiplicare, meglio sommare gli
spettatori di un partita con quella successiva, peraltro ancora da giocare, ha
del miracoloso. Gesù con la sua moltiplicazione dei pesci per poche persone a
loro confronto era un dilettante, loro sono riusciti a moltiplicare 50.000
spettatori, sempre gli stessi, facendoli diventare 100.000.
Gli
stessi giornali romani, compreso quello sportivo, volutamente tacciono una
gravissima spedizione punitiva, a mo’ di black blok, effettuata nel dopo derby
del 16 ottobre 2011, da un centinaio di tifosi romanisti e per questo fanno di
questo episodio una delle pagine più vergognose scritte da sedicenti
giornalisti che, più che scrivere su giornali democratici, sembrano essere dei
velinari di regime al soldo del rinato Minculpop in versione giallorossa. Negare
questo incredibile episodio di violenza è criminalmente più grave di coloro che
lo hanno perpetrato, anche perché così facendo chi la pratica si sente
protetto, coccolato, e per questo voglioso di reiterarla. Questo hanno fatto colpevolmente
i quattro dell’Ave Maria (la Repubblica, il Corriere dello Sport, il Messaggero
e il Tempo).
Altre
chicche. L’allenatore più vincente di tutti i tempi, sir Alex Ferguson,
dichiara che il suo più grande rammarico è aver perso nel 1999 la Super Cup
europea contro la Lazio, a suo parere allora la squadra più forte del mondo e
loro nulla, devoti pennivendoli cantori esclusivi del progetto grande
Corropolese, che ha portato alla creazione della squadra della parrocchietta, lì
senza scrivere una riga. Eppure non c’è
da fare corsi di marketing per comprendere che in una città come Roma che vive
di dualismo dai tempi degli Orazi e dei Curiazi, una notizie del genere sarebbe
sale, e molto copioso, per le vendite. Per la loro fede vanno contro gli
interessi dei loro stessi giornali.
Nell’ultimo
derby del campionato primavera la partita viene sospesa dall’arbitro, anche se
solo per pochi minuti, invitando il capitano della Roma a far zittire i propri tifosi con i loro fischi razzisti
contro il giocatore della Lazio Tounkara, pena la sospensione definitiva della
partita, e i quattro dell’Ave silenti, senza più inchiostro. So benissimo, da
laziale, che alcuni gruppi che certo non si richiamano agli ideali olimpici per
i quali la Lazio è nata, praticano, hanno praticato i buu razzisti in maniera
altrettanto vergognosa, ma dei loro comportamenti si parla, e giustamente, in
tutte le salse, e quando lo fanno i romatristi la cosa viene invece silenziata.
La notizia, che i quattro dell’Ave non pubblicano, viene al contrario pubblicata
dalla Gazzetta dello Sport. Il giornalista velinaro fa le pentole ma non i coperchi.
Mi fermo
anche se gli episodi sono innumerevoli ma credo che per il senso di sportività
innata che accompagna chi è laziale, chi è vero laziale, non si può premiare ex
equo questi benedetti quattro dell’Ave
Maria. Bisogna dare un primo premio. Per la verità, con l’episodio che mi
accingo a descrivere, non avendo letto i quotidiani Tempo e Messaggero, posso
solo fare una classica parziale, solo tra la Repubblica e il Corriere dello
Sport, e debbo dire che il quotidiano di via Solferino ha stravinto alla grande
la medaglia d’oro sul giornale più simil mafioso cupolaro giallorosso di Roma.
Di seguito l’episodio che ha fatto stravincere la Repubblica.
27
maggio 2013, la Lazio il giorno prima aveva vinto il derby di coppa Italia. Il
Corriere dello Sport parla della vittoria della Lazio e di scontri provocati da
tifosi romanisti, con i titoli che descrivono, anche ai lettori più distratti,
come si sono realmente svolti i fatti. E invece guardate cosa ha scritto nei
titoli, nei sottotitoli e nella didascalia a commento delle foto, il signor Gabriele
Isman su la Repubblica di Roma. Titolo: “Coppa Italia, festa biancoceleste in
centro. Raid in via Cavour, auto distrutte, tensione al Colosseo, due fermati”.
Sottotitolo: “In quindicimila a piazza del Popolo. Balli e fuochi d’artificio”. Didascalia delle foto:
“ Polo della festa piazza del Popolo ma caroselli e cortei biancocelesti in
tutta la città. Tensione solo tra via Cavour e il Colosseo per alcune auto
distrutte.
Dove si
evince, da queste cose, che le violenze sono state praticate esclusivamente da qualche
centinaio di tifosi giallorossi che hanno metodicamente assalito tifosi laziali,
famiglie di tifosi laziali in festa? Il signor Ismail sa, come tutti i
giornalisti, che molte persone leggono dei giornali solo i titoli, soprattutto
se l’argomento interessa poco, e nei titoli di questo articolo è facile pensare, per chi non conosce i fatti che gli scontri
siano stati provocati dagli stessi che facevano festa.
Non ho
altro d’aggiungere. Cito solo un grande personaggio di Roma che nella sua
grandiosa semplicità, che riesce solo alle persone eccezionali, a chi gli
chiedeva di che squadra fosse, con naturalezza rispondeva di essere laziale
perché ai suoi tempi c’era solo la Lazio. E proprio omaggiando la Elena Fabrizi, la famosa Sora Lella, in riferimento
a questo derby di coppa Italia che ne vale cento, vi saluto con una sua frase
di risposta al nipote nel film Bianco Rosso e Verdone: “ Nonna, nonna, m’hanno
fatto ‘n bono, che vor dì? Vor dì che…..” , “Vor dì che te la piji ‘n der
culo”. e siccome è plurale maiestatis, pardon plurale cupola cupolorum
traduco:”Vor dì che ve la pijate ‘n der culo”, pe’ sempre.
Decimo
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